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Outdoor Education – Approfondimento

L’educazione all’aperto: origini e primi approcci in Italia

Il binomio educazione-natura è centrale fin dall’antichità nella vita delle comunità e nella cura delle nuove generazioni. A partire dal ‘700 questo nesso viene tematizzato nei contesti di apprendimento formale e scolastico. È soprattutto Jean Jacques Rousseau a dedicare pagine importanti alla naturalità dello sviluppo dei bambini lontano dall’aria malsana delle città, più propriamente in campagna e all’aria aperta. Secondo il filosofo francese nell’ambiente naturale si sviluppano i sensi e si presta maggiore attenzione ai fenomeni naturali. Ad enfatizzare maggiormente il ruolo della natura nell’educazione e nella scuola è Friedrich Fröbel. Lo studioso tedesco pensa alla creazione dei “kindergarten”, ovvero dei giardini nei pressi delle scuole con la funzione di luoghi educativi e didattici.

Questi giardini sono affidati alla cura dei bambini i quali imparano alcune semplici nozioni agronomiche e imparano a vivere in armonia con l’ambiente circostante. Secondo Fröbel in questo modo: “l’uomo vede per la prima volta i frutti del suo lavoro. Frutti che, per molti riguardi, benchè sottomessi alle interne leggi della forza naturale, dipendono pur anche dalla sua attività, dal modo con cui egli ha esercitato la sua attività”.
Importanti sono per lo studioso tedesco anche le escursioni guidate sul territorio che permettono ai bambini di imparare sull’ambiente e nell’ambiente. La diffusione del frobelismo porta alla valorizzazione dell’ambiente naturale nelle istituzioni educative e scolastiche, influenzando anche studiosi ed educatori nel resto d’Europa. Un ruolo importante per la diffusione in Italia è svolto da Lucy Latter. L’educatrice inglese propone un percorso didattico legato alla coltivazione e al ciclo vitale delle piante, al fine di favorire l’atteggiamento scientifico, le capacità manuali, la cooperazione e la cura della natura. Latter si reca in Italia nel 1907 su invito della baronessa Alice Franchetti. I coniugi Franchetti nei loro possedimenti alla Montesca e Rovigliano, in Umbria, sono promotori di iniziative educative per i contadini locali. Latter recandosi alla Montesca introduce i propri principi educativi nella “Casa dei bambini”, cosicché la coltura dei fiori e degli ortaggi e la pratica delle escursioni sul territorio diventano funzionali allo svolgimento dell’intera didattica . Nel 1909 giunge alla Montesca Maria Montessori, la quale approfondisce in quei contesti il rapporto tra educazione e natura. Montessori ritiene centrale avviare fin da piccoli i bambini a lavori agricoli e all’allevamento, sostenendo la capacità dei fanciulli di agire attivamente sull’ambiente. 

ITALIA: storia della scuole all’aperto, dall’Ottocento ad oggi

Nel secondo Ottocento l’Italia è colpita da un’epidemia di tubercolosi, malattia altamente infettiva e contagiosa che colpisce soprattutto l’infanzia e la gioventù nelle zone più periferiche e insalubri delle città. La cura di tale segmento di popolazione diviene uno tra gli obiettivi principali in ambito culturale e politico; intellettuali, medici, politici ed amministratori iniziano a promuovere e incentivare la nascita delle scuole all’aperto. Tale realtà si fonda su elementi rivoluzionari: un luogo distante dalla città e immerso nella natura, un pavimento di sabbia e pini invece dell’asfalto, la coeducazione dei sessi invece della loro separazione, metodi didattici centrati sull’osservazione e l’esperienza diretta, la creazione di un clima di familiarità e collaborazione tra alunni e insegnanti e l’importanza dell’educazione fisica.

Uno dei principali sostenitori e divulgatori delle scuole all’aperto in Italia è Mario Ragazzi, medico dell’Ufficio d’Igiene di Genova, che nel 1914 manda alle stampe un manuale dal titolo L’igiene della scuola e dello scolaro, in cui analizza la situazione della tubercolosi in Italia esortando i maestri a collaborare attivamente per combattere l’epidemia attraverso la diffusione delle scuole all’aperto. In quegli anni, in seguito alle denunce delle disastrose condizioni igieniche della società e della scuola in Italia, i medici e igienisti iniziano a promuovere e comprendere l’utilità delle scuole all’aperto nelle città italiane, anche grazie alla stampa pedagogica e scolastica che inizia ad indagare tale realtà contribuendo alla divulgazione e alla circolazione delle esperienze nel circuito scolastico italiano.

Nella stessa Bologna, i nuovi assessori sono particolarmente sensibili alla causa igienica e all’istruzione popolare, ed è proprio l’Associazione bolognese contro la tubercolosi, sorta in città, a sollecitare ulteriormente l’avvio delle scuole all’aperto come arma di prevenzione di questa malattia.

Dunque, nell’estate del 1915, viene approvato il progetto per la costruzione di due padiglioni per le scuole all’aperto nei Giardini Margherita, considerati  un luogo di innovazione educativa rispetto alla scuola tradizionale, proprio per la loro caratteristica di essere immerse nel verde e nella natura. Si tratta quindi di un programma innovativo che punta ad un rinnovamento sociale e politico completo. A questa scuola il Comune riserva sempre cure particolari per gli acquisti di materiale speciale, come tappeti di lana e cotone, seggioline per le lezioni, libri, quaderni, lavagne e addirittura mantelle e zoccoli per gli alunni da calzare nei giorni piovosi.

La scuola all’aperto di Bologna comincia ad essere nota a livello italiano, europeo e internazionale grazie a una rete di medici e igienisti che partecipano a congressi internazionali ed scrivono su riviste del settore promuovendo, attraverso questi canali, modalità didattiche ispirate all’osservazione, all’esplorazione, alla scoperta, alla pratica e all’azione diretta dell’alunno in un ambiente naturale, capaci di essere il più coinvolgenti ed efficaci possibili. 

Durante gli inizi degli anni Cinquanta, anche in Danimarca la scuola all’aria aperta prende sempre più piede grazie ad Ella Flatau, madre e pedagogista, che da l’avvio ad un progetto chiamato vandrebørnehave (“asilo a piedi”) in cui bambini e adulti passano la mattina a passeggio nei campi e nei boschi. 

Purtroppo In Italia, dalla metà degli anni Settanta le scuole all’aperto cittadine finiscono per trasformarsi in scuole di tipo tradizionale e a tempo pieno, perdendo così la loro ragion d’essere. 

Debellata la tubercolosi e migliorate le condizioni igieniche complessive, le scuole all’aperto hanno perso il scopo originario, ma nonostante questo, sono state strumento della modernizzazione del Paese nell’affrontare i bisogni igienici ed educativi di una popolazione infantile soggetta a marginalità sociale. Nello stesso periodo in Europa e nel mondo si è diffuso il “Movimento dell’Educazione Nuova”, ove la novità risiede proprio nel portare la didattica nella natura, nell’importanza dell’educazione in natura, nel tentativo di provocare un forte cambiamento nella scuola tradizionale.

Il movimento delle scuole all’aperto ha così contribuito ad una innovazione delle pratiche educative e didattiche delle nuove scuole italiane ed europee, come ad esempio l’idea di un’educazione che contempli in maniera integrata e armoniosa l’indoor e l’outdoor,  e che preveda ‘tempi lunghi’ di apprendimento e forme di scoperta diretta da parte degli alunni in spazi ampi e all’aperto.

Dagli anni Novanta a oggi l’approccio della pedagogia nel bosco si è diffuso in gran parte del mondo, in ogni paese ha preso forme diverse, intrecciandosi con i contesti culturali e scolastici, con esempi interessanti in Canada, India, Australia, Nuova Zelanda, Brasile e in molti paesi d’Europa.

Nello specifico, in Italia si è cominciato a parlare di “asili nel bosco” dall’apertura del progetto Ostia Antica da Paolo Mai, Giordana Ronci, Danilo Casertano e Sabina Bello e partito ufficialmente nel settembre 2014 (Manes 2018).

L’Italia oggi: Dopo la pandemia del Covid-19

Si sta sempre più parlando di Outdoor Education nelle scuole, soprattutto in questo periodo storico di pandemia, ma  anche in relazione all’emergenza climatica: attualmente la pratica pedagogica e didattica ci suggerisce innegabili e ricchissimi spunti per il recupero dell’ambiente naturale come contesto educativo e come oggetto di studio didattico, restituendo alle novità attuali una sorta di ‘legittimazione storica’ ed insieme una problematizzazione in merito all’opportunità, di un ‘ritorno alla natura’ anche in termini di educazione ambientale, di discorso ‘ecologico’ e di educazione alla sostenibilità. Analogamente a quanto è successo in Italia durante l’emergenza igienico-sanitaria nel secondo Ottocento, le prerogative dell’educazione outdoor porterebbero ad un sensibile miglioramento delle condizioni di vita dei bambini e delle loro comunità di riferimento rispetto alle attuali emergenze (climatiche, epidemiche).

La pedagogia nel bosco, infatti, pone al centro della didattica l’interazione tra adulto-bambino-ambiente, permettendo di comprendere le connessioni e gli equilibri che legano gli esseri umani agli altri organismi e i processi e cicli che regolano la vita sulla Terra. Vivere il selvatico e la natura permette agli individui di abitare con consapevolezza l’ambiente naturale. Alla natura viene restituito il ruolo, dunque, di maestra, poiché è un luogo dove possiamo fermarci, ascoltare, dialogare, porre domande e trovare risposte.